Favole IV.
 

Favole III.
 
Il Toro infuriato
La conversazione degli Augelli
Le Anitre
Il Dittamo e il Timo
Il Viaggiatore e il Vento
Le due Canne
La Farfalletta e il Fiore
Il Montanaro e l' Orso
La Pecora e l' Agnellino
I due Veltri
Gli Uccelli e i Pesci
Il Continente e l' Isola
I due Germogli
Gli Occhi azzurri e gli Occhi neri
La Toletta e il Libro
Il nuovo Guardiano d Armenti
La Società, la Solitudine e la Ragione
Il Giardino e la Montagna
Il Ruscello e il Boschetto
L'Asino in maschera
La Scarpa e il Guanto da donna
Il Cammello e il Topo
La Serpe amabile
Il Fanciullo e la Creta
Le due Pecorelle
La Nuvola e il Sole
La Rana e il Pesce
Il Destriero e un Giumento
La Vite e il Potatore
L' Aquilotto e il Gufo

LXI.
Il Toro infuriato

Del chiuso era fuggito
Toro che l' ire ardenti
Col feroce muggito
Sfogando gía ne' venti,
E col piè nell' arena.
Di spavento ripiena
La villanella il mira.
E grida, e si ritira.

Cosi mentre va intorno,
E a' tronchi aguzza il corno,
S' appressa d' arboscelli
A un folto gruppo ov' era
Spauracchio agli augelli
Lacera gonna nera.
Si ferma riguardando,
Poi corre a quella incontro;
Ma i colpi raddoppiando,
Il curvo corno ha scontro
Così fra il panno e i rami,
Che n' é stretto in legami:
S' agita e mugge invano,
Fin che arriva il villano,
Che con nova catena
Entro al chiuso il rimena.

A te l' esempio io reco,
Giovine d' ardir cieco:
Ove tel credi meno,
Ti si prepara un freno
.

LXII.
La conversazione degli Augelli

Era il verno, e fean gli augelli
Essi ancor conversazione,
Giovin, vecchi, brutti, belli,
D' ogni pelo e condizione:
La lor sala solitaria
È il soffitto d' una curia.
Di pront' esca e tiepid' aria
Là giammai non é penuria:
Dopo il lieto desinare
Divertivansi a ciarlare.

Una lodola, famosa
Per tragitti in lido estrano.
Era sempre la vogliosa
Di tener le carte in mano.
Or narrava aver veduto
Animai di forme rare,
Or fra i turbini perduto
Un naviglio in alto mare:
Cose belle; ma tal gente
Nella storia poco esperta
S' annojava fieramente.

Per più giorni fu sofferta;
Indi alcun par che borbotti,
Sopra tutto i passerotti,
Un de' quai più petulante
Disse alfin: Che? un verno intero
Sopportar questa seccante?
Non fia vero, non fia vero:
Eh si cacci, eh vada altrove
A spacciar quelle sue nuove.

È accettato il suo consiglio,
E la Lodola ha l' esiglio.

Vuoi tu agli uomini piacere?
Parla a oguun del suo mestiere
.

LXIII.
Le Anitre

Nella stagione estiva
D' anitre un ampio stuolo
In sulla secca riva
Aprendo il basso volo,
Ristor di pioggia attende,
E in rauco mormorío
Esprime il suo desío.
Alfin la pioggia scende,
E impetuosa cresce,
Così che il rio fuor esce
Del letto, e la campagna
Rapidamente bagna.

Quelle pel fresco umore
Avean l' ali spiegate,
E 've il fondo è maggiore
Eransi già tuffate.
Soverchio ingorde e liete
Vogliono in un istante,
Senza mirar più avante,
Spegner la vecchia sete.
Ma la piena già sòrta
Nuovo ha vigor dal nembo,
E l' Anitre giù porta
Perdute al mare in grembo.

Sobrio il bene assapora:
Misero chi l' divora!


LXIV.
Il Dittamo e il Timo

Ben io sapea che i fiori
Vennero a liti acerbe
Sul pregio de' colori,
Sul pregio de' colori;
Ma nol credea dell' erbe.
Ora da un Saggio bo inteso,
Come han del vanto primo
Tra loro un dì conteso
Il dittamo ed il Timo.

Ne fu cagion gentile
Vaghezza giovanile
Della ninfa Nigella,
Che di quest' erba e quella
Cogliendo ognor veniva,
E fea carezze e festa
Or più a quella, or più a questa.

Il dittamo dicea:
Io son sacro a una Diva
La più bella di tutte;
E l' altro rispondea:
Alle belle e alle brutte
Il Timo è sempre slato
Squisitamente grato.
Io ... Ma mentre sorgea
La lite più animosa,
Sulla siepe vicina
De' fiori la regina
Spuntò la vaga Rosa.
In quel punto s' appressa
La forosetta istessa.
L' erbe dicean: Venite,
Decidete la lite.
Ma quella: Un' altra volta,
Risponde, e non le mira;
E alla Rosa rivolta,
La coglie, e si ritira.

Non passeggier favore
T' ispiri idee superbe.
Se comparisce il fiore,
Più non si guarda all' erbe
.

LXV.
Il Viaggiatore e il Vento

Nel bel mezzo di Gennajo
Fea vïaggio non so chi;
Di gran guanti e doppio sajo
Contra il freddo si munì:
Ma alla piccola sua testa
Largo alquanto il cappel gia,
E da un vento che si desta
Gli è improvviso tratto via.
Il cappel, quasi abbia piume,
Rota e termina nel fiume.

Oh cospetto! il Viaggiatore
Disse al vento, e montò in furia
Garbinaccio traditore,
Fatto a me cotale ingiuria
Alcun vento non ha mai.
E viaggiato ho mille miglia
Con cappel più largo assai,
Tutta tutta la famiglia
Sopra i monti e in mezzo all' onde
Ho de' venti conosciuto,
Né il cappello ho mai perduto.

Ride il vento, e gli risponde:
Gran ragion di tue querele!
D'ignorar non hai tu scorno,
Viaggiator di mille miglia,
Ch' ove è rischio, ognor cautele
Contro a' rischi il saggio piglia;
E che occorrer potea un giorno,
Camminando alla bufera,
Ciò che occorso ancor non t' era?

Non dir mai: Danni io non temo,
Perché ognor ne fui digiuno:
Sei de' rischi nell' estremo,
Non temendone nessuno
.

LXVI.
Le due Canne

La più gracil delle Canne,
La più mobile a ogni vento,
In distanza di più spanne
Si piegava ogni momento;
Ma così venendo e andando
Le vicine gía nojando;
Pur dicea: Che amabil dono
Esser docil com' io sono!
Spiri l' aura anche più blanda,
Io la seguo ove comanda.

Sì: risposta a lei fe' tale
Vecchia Canna matronale,
Sì, t' accordo anch'io se vuoi,
Ch'esser docile è un bel vanto;
Ma qualora i moti tuoi
Tal dan noja a chi t' è accanto,
L'esser docil, qual sei tu,
È una pessima virtù.

Mal virtude aver pretendi,
Se a niun giovi, e molti offendi
.

LXVII.
La Farfalletta e il Fiore

Farfalletta i vanni adorna
Di vaghissimi colori
Gira, scherza, fugge, torna
Fra l' erbette, i frutti e i fiori;
Scorre il prato, fende il poggio,
Ma non fissa mai d' alloggio:
Fior quanti erano, erbe e frutti
Conoscevanla già tutti.
Qui accarezza, e parte; lassa
Qua un sospir, là un guardo, e passa;
Officiosa, benchè in fretta,
Più d' ogn' altra farfalletta.
Ve' però fortuna ingrata!
Pur da un sol non era amata:
Ella intanto esser si vanta
L'idoletto d'ogni pianta.

Non so qual de' dori un giorno
Di parlarle ebbe coraggio:
Mentre voli a noi dintorno
Lusinghiera nell' omaggio,
Credi invano ognun contento
Del tuo breve complimento.
Non sperar, se non t' arresti,
Che in alcuno amor si desti.
Il fedel, l' assiduo amante
Ad amar davvero insegna:
Un amabile incostante
Ci diverte e non e' impegna.

Se con mille i tuoi momenti
Dividendo ognor tu vai,
Avrai mille conoscenti,
E un amico non avrai
.

LXVIII.
Il Montanaro e l' Orso

Da' patrj monti scese
Un Contadin voglioso
Di camminar paese,
E a farsi far le spese
Trasse compagno un Orso.
Un baston noderoso,
Una pelliccia al dorso,
Un piffero, una fiasca,
Certe pagnotte in tasca,
Moltissimo coraggio
Formano il suo equipaggio.

Alla poca fatica
Fortuna apparve amica:
Ei fea l' Orso girare,
Danzare, tombolare,
E in non so quanti dì
La vuota borsa empì.

Cammin facendo un giorno,
Di un prato il letto erboso,
Che invitava a riposo,
Scoprì sul mezzogiorno;
Più volte intorno al braccio
Si attorce il ferreo laccio,
Onde l' Orso tormenta;
Là il piffero depone,
Qua la fiasca e il bastone;
Si sdraja e s'addormenta.

Ma l' orso, in cui non è
Gran voglia di dormire,
Scostasi alquanto, e a sé
Sente il laccio venire:
Nè meno a dargli in testa,
Il padron non si desta.
Quel, credendosi sciolto,
Cotal prende carriera,
Che ne' suoi lacci avvolto
Per piano e per costiera
Sa il Ciel con qual rovina
Il padrone strascina;
Il qual pesto, abbattuto,
Chiedendo invan soccorso,
Tardi il rischio ha veduto
Di dormir presso all'Orso.

Quindi l'esempio pigli
Chi dorme fra' perigli
.

LXIX.
La Pecora e l' Agnellino

Nel passar presso a un giardino
Una Pecora già annosa
Un bianchissimo Agnellino
Vide in quello, ch'or mordea
D' un vial la falda erbosa.

Or fra gli alberi correa,
Or godea fermarsi a fronte
Del bel margine d' un fonte,
Ove ninfa in ricca vesta
Feagli smorfie, feagli festa.

Si fa core, e s' avvia drento,
Esclamando: Oh che contento
Di veder che la mia schiatta
Non fra' campi sol s' appiatta,
Ma s'accoglie e s' accarezza
Fra la pompa e la grandezza!

In quel punto giunse un servo
Che la Pecora sgridò,
E con modo aspro e protervo
Fuor del chiuso la cacciò.
Ella uscendo del giardino.
Gia guatando l' Agnellino,
E dicea dogliosa e mesta:
Perch' io fuori, e quello resta?

Chiedi invano ciò che ottiene
Chi di schiatta è a te simile.
Se non hai, coin' altri tiene,
Dolce tratto, aria gentile
.

LXX.
I due Veltri

Un dì v' eran due Cani,
Due Cani cacciatori
Solenni abbajatori,
Che quantunque lontani
Dalle riposte selve
Sfidar parean le belve.
L' un detto era Benprendi,
E l'altro Suonacorno;
Nomi più che tremendi
Ai putti del contorno.
Fra i can più eroico pajo
Jl padron non ritrova,
Benchè contra al pollajo
Sol messi abbiali a prova.

Sicuro di gran prede
Move alla cuccia, e vede
Uscir fuggendo un Orso:
I veltri fan portento
Per appressarlo al corso;
Vanno siccome vento:
Ma da presso veggendo
L'ugne e il dorso velloso,
E il dente minaccioso,
Fermansi, intiepidendo
Gli sdegni; e finalmente,
Preso miglior consiglio,
Rapidissimamente
Tornano indietro un miglio.

Mentre del lor coraggio
Davan così bel saggio,
S' inoltra un invecchiato
Veltro già disprezzato,
E con maestro morso
Afferra e arresta l' Orso.

Spesso quelli han men core,
Che menan più romore
.

LXXI.
Gli Uccelli e i Pesci

Gli Uccelli:
Pesci, o Pesci, felici
Più di noi quanto siete!
Se vengono nemici
O con amo o con rete,
Tosto giù nel profondo
Correr v' è dato: in fondo
Del mar, de' fiumi e chi
Mai d' assalirvi ardì?

I Pesci:
Augeelli, o Augelli, voi
Felici più di noi!
Chè a ritrovar lo scampo
Libero avete il campo;
E gir v' è dato lunge,
Ove fucil non giunge;
Presso alle nubi e chi
Mai d' assalirvi ardì?

Gli Uccelli:
Ma quale aerea parte,
O quale erma campagna
Dal rischio ci disparte
Dell'aquila grifagna?

I Pesci:
E noi chi salvi tiene
Dalle immense balene,
E dagli altri pirati
Pesci disumanati?

Non ti lagnar de' mali.
Non creder soli i tuoi;
Ognuno de' mortali
Ha da soffrire i suoi
.

LXXII.
Il Continente e l' Isola

Diceva il Continente
All'isola vicina:
Prole tu sei giacente
Di fatal urto e altissima rovina;
E i segni in molti lati
Dell' origine indegna hai tu serbati.

L' Isola gli rispose:
È ver; ma che son mai
Le rupi minacciose,
Onde paura ai naviganti fai?
Quella rovina istessa
Più che sul mio, sul tuo gran volto é impressa.

Contro ai difetti del vicin t' adiri,
E gli stessi difetti in te non miri
.

LXXIII.
I due Germogli

Due Germogli pregiati
Furono trapiantati
In ridente giardino.
Hanno umor cristallino,
Han sole, han dolce auretta;
Nè parasita erbetta
Succo, che lor si dee,
Nel vicin suolo bee.

Impazïente il fiore
Ne sospira il cultore.
Ecco del novo Aprile
Sulla limpida aurora
La cimetta gentile
Un de' Germogli inostra;
L' altro in Agosto ancora
Bocciolo alcun non mostra.

N'ha il giardiniere ambascia:
Estate e primavera
Nè ancora un fior! dispera;
E il pigro allievo lascia
Senza alcuna cultura,
E sol dell' altro ha cura.

Cadean già scolorite
Le fòglie ad ogni vite,
Quando entrando un mattino
Il cultor nel giardino,
Scopre da lunge fiori
De' più vaghi colori.
S'avanza, ed al suo sguardo
Offresi il Germe tardo,
Che quattro sostenea
Fiori di raro manto;
E il sollecito intanto
Datogli un sol n' avea,
Nè gliene diè più mai;
E l' altro ancor fra il gelo
Vestì l' ardito stelo
Di più fioretti gai,
E a sè tutte le ciglia
Chiamò per meraviglia.

Spera di mente giovane
Che tardi si rischiara,
E alle primizie facili
Di non fidarti impara
.

LXXIV.
Gli Occhi azzurri e gli Occhi neri

A contesa eran venuti
Gli Occhi azzurri e gli Occhi neri. —
Occhi neri fieri e muti.
Occhi azzurri, non sinceri.
Color bruno, color mesto.
A cangiar l' azzurro é presto.
Siamo immagine del Cielo.
Siamo faci sotto a un velo.
Occhi azzurri han Palla e Giuno.
E Ciprigna é d' occhio bruno. —

S' avrìan dette anche altre cose,
Ria fra loro Amor si pose,
Decidendo tanta lite
In tai note, che ha scolpite,
Per suo cenno un pastor fido
Sopra un codice di Gnido:
Il primato in questi o in quelli
Non dipende dal colore;
Ma quegli occhi son più belli,
Che rispondono più al core.

LXXV.
La Toletta e il Libro

Toletta:
Chi sei tu che il mio governo
A turbar vieni in mal' ora?

Libro:
Un filosofo moderno
Che istruisce la Signora.

Toletta:
Oh mi di', cosa le insegni?

Libro:
Ogni effetto e ogni cagione:
A pesar popoli e regni,
A purgar la sua ragione.

Toletta:
Strane voci! ho qui servite
E le suocere e le nonne,
Nè da lcr giammai le ho udite.

Libro:
Altri tempi ed altra usanza,
Altri studj, altri costumi;
Già fu il secol d'ignoranza,
Questo é il secolo de' lumi.

Toletta:
E il suo spirto è dunque giunto
Del saper all'alta sfera?

Libro:
Sol da un mese...

Toletta:
Ah! un mese è appunto
Ch' è più pazza che non era.

LXXVI.
Il nuovo Guardiano d Armenti

Nell' uscir su' primi albori
Un novel Guardian di greggia
Entra tosto ove pompeggia
Praticel d' erbette e fiori;
Indi in quanti ha prati grassi
Colla greggia volge i passi.

Nè ciò basta; pel contorno
Va d' ogni erba a mieter fasci:
Pasci, o greggia, ei dicea, pasci;
Io trattarti in un sol giorno
Meglio so, che un altro in venti.
Diè così guasto totale
A ogni terra; e per gli armenti
Era a dirsi un carnevale.

E quel mese e il mese appresso
Ogni giorno fea lo stesso.
Giunse il verno, e a fredda brina
Aquilon mordente unito
Portò l' ultima rovina
Al terreno già esaurito:
Prato o poggio più non serba
Un sol magro filo d'erba.
E la greggia? ebbe a perire;
E al guardiano suo rivolta
Mestamente parea dire:
Perchè troppo in una volta?

Frena gl' impeti del core
Nella età più fresca e .gaja,
Se trovar vuoi qualche fiore
Sul sentier della vecchiaja
.

LXXVII.
La Società, la Solitudine e la Ragione

La Società:
Fugga' i boschi, odii la vita
Insocievole, romita
L'uom, che quando non impari
A conoscere i suoi pari,
Benchè giunto a vecchia età
Un fanciullo ancor sarà:
E ignorar potría ch'io sola
Son maestra in questa scola?

La Solitudine:
Venga ai boschi, ami la vita
Insocievole, romita
L' uom, per cui son più felice
D' altri studi io precettrice.
Sia pur utile scïenza
Prender d' altri conoscenza;
Ma non utile è più spesso
Il conoscere sè stesso?

La Ragione:
L' una e l'altra io di voi temo
Degl' inganni nell' estremo.
L'uom fra entrambe parta i giorni;
Lasci l'una, e all'altra torni;
E il saper che da voi colga
Mischii insieme, e a un segno volga;
Ma con una sol di voi
Sodo bene ei raro acquista:
Tutto d' altri tu lo vuoi;
Tu vuoi renderlo egoista.

LXXVIII.
Il Giardino e la Montagna

Caro a Nerina, caro a Licori,
Giardin superbo per mille fiori
Una montagna d'aspetto orrendo
In modi amari gia deridendo.
Quella gran tempo sofferse, e poi
Disse al giardino: Sai che m'annoi?
Perchè deforme così mi vedi,
Che in pregio cederti debb' io mal credi.
Se rozza fuori, bella son dentro;
Le gemme e l'oro chiudo nel centro.
Oh quanto vano, tanto meschino,
De' tuoi prodotti quale è il destino?
Durante un giorno di venir meno
Di qualche ninfa sul criu, sul seno;
E i miei per sempre vivi e lucenti
Van sulle tempia de' re possenti.

LXXIX.
Il Ruscello e il Boschetto

Un fresco Ruscelletto
E circonda e divide
Un giovine Boschetto
Che amenamente ride:
L' un bagna, e l' altro adombra;
E fan cambio gentile
Tra lor d' umore e d'ombra.
Era già mezzo Aprile,
E parte della riva
Il Boschetto copriva:
Quando un mattin repente
Furia di nembo sorse,
Di nembo così crudo,
Che tutti mortalmente
I freschi rami morse,
E il bosco restò ignudo.

Lagnavasi il Ruscello.
Dicendo: Invali ti porto
Coll'acque mie conforto;
Tu già non sei più quello.
Ma nulla il Bosco a lui,
E sol fra sé parlò:
Se ancora io non rinverdo
A porgere ombra altrui,
L' ajuto altrui non perdo?
Ma il Bosco s' ingannò.
Tosto gli estivi ardori
Tolsero al rio gli umori;
Poi ch'ombra alli difese
Più il Bosco non distese,
L' uno e l'altro così
E fama che perì.

Chi giovi a sé non trova
Quegli che altrui non giova
.

LXXX.
L'Asino in maschera

Disse un Asino: dal mondo
Voglio anch' io stima e rispetto,
Ben so come; e così detto,
In gran manto si serrò.

Indi a' pascoli comparve
Con tal passo maestoso,
Che all'incognito vistoso
Ogni bestia s'inchinò.

Lasciò i prati, e corse al fonte,
E a specchiarsi si trattenne;
Ma sventura! non contenne
Il suo giubilo, e ragliò.

Fu scoverto, e fino al chiuso
Fu tra' fischi accompagnato;
E il somaro mascherato
In proverbio a noi passò.

Tu che base del tuo merto
Veste splendida sol fai,
Taci ognor; se no, scoverto
Come l' Asino sarai
.

LXXXI.
La Scarpa e il Guanto da donna

Serica Scarpa ornata
D'aurea fibbia gemmata
Diceva ingiurie al Guanto:
E meco avresti ardire,
Vile di pelle ammanto,
A paragon venire?
Ve' di che grazie adorno
Il disegual contorno,
E come per me spunta
La linda unica punta.
E tu perchè non stringere
In simmetría più unita,
Nè di bei nodi cingere
La scala delle dita?
Se come io vesto il piè,
Vestir toccasse a me
Due belle man di latte,
Ben sarían più vezzose!
Sì, il Guanto le rispose;
Ma ad uso alcun non atte.

Sei folle, se consenti
Che nuoccia al ben de' comodi
Il bel degli ornamenti
.

LXXXII.
Il Cammello e il Topo

A pascolare per un campo un giorno
Era un Cammello, e ad una gamba avvolto
Libero laccio strascinando gía:
Quand' ecco in quel contorno
Per non so qual bisogna un Topo è vôlto,
Che il gibboso animal guarda e riguarda,
Il vago corso della fune spía;
Resta alquanto perplesso,
E in aria grave poi dice a sè stesso:
Nulla fe' mai di ben gente codarda;
Oh che nobile impresa,
Se in seno del mio buco
Un cammello io conduco!
Certo che s'io tant' oso,
Sarò fra tutti i topi il più famoso.

Disse, e accintosi all'opra,
La fune afferra e tira:
Quello naturalmente
Docile e compiacente
Ov' è tratto si gira,
E va via via seguendo.
Sudava il Topo in quel lavor tremendo;
Ma della gloria, che n' avrà, l'idea
Tutto con gran piacer soffrir gli fea.

Giungon del buco all' orlo;
E l'eroe condottiero
Entra del peso della fune altero,
E va gridando a questo topo e a quello:
Loco, loco, compagni, ecco un Cammello.
Gli sforzi allor raddoppia,
Si contorce, si stroppia,
S'impazienta, s'adira,
E tira e tira e tira;
Io non so come non perdesse i denti.

O stolido! che tenti?
Disse il Cammello alfin, che il vano scôrse
Disegno di colui; gran porta forse
Può questo buco divenir? poss'io
La mole impiccolir del corpo mio?

Quanti Topi il mondo ha visti
Ne' sognanti Progettisti!


LXXXIII.
La Serpe amabile

Già deserto e sfrondato
Era il bosco, era il prato;
Già i colli anche men erti
Di neve eran coverti.
Del bosco in sul confine
Apre breve passaggio
Un sentier dal villaggio
A prossime colline:
Colà tra folti sterpi
Il nido avean più serpi.

Or mentre il verno regna,
Una su quella via
Mezzo fuor comparía:
Quale a dito la segna,
Qual fugge e la minaccia
La Serpe dolcemente
Gli occhi fissava in faccia;
E se alcun moto fea,
Moto d' agnel parca.

Da poi che tal sovente
Ninfa o pastor la scôrse,
Dicea: Che buon serpente!
D' un' altra razza è forse.
Trascorse appena un mese,
E la Serpe si rese
L'idolo del villaggio.
Ne fean rumore i vecchi;
Ma chi dà loro orecchi?

Intanto venne Maggio,
Nè più la Serpe è vista:
Ninfa e pastor s' attrista,
Ove, dicendo, è andata
Serpe così bennata?

Sandretta un giorno udio
Fra l'erbe uno striscío:
Si rivolge, e toccata,
Indi stretta e sferzata
Sentesi al manco piede:
Dà un grido, ed ahi! che vede?
Vede che l' ha assalita
La Serpe favorita:
Che il fero collo snoda,
Torce l' orribil coda,
E la bocca ha ripiena
Di spuma che avvelena.

Può rassembrarti amabile,
Quando il malvagio è oppresso;
Ma temilo, ma fuggilo:
Ritornerà lo stesso
.

LXXXIV.
Il Fanciullo e la Creta

Che sei tu? disse un Fanciullo
A un pezzuol di Creta, intento
A formarsene trastullo;
Che sei tu, che piena io sento
Di fraganza sì gentile?
E la Creta gli rispose:
Creta io son della più vile;
Ma vissuto ho fra le rose.

Ferreo hai genio, e il brami d'oro?
Cerca i buoni, e sta fra loro
.

LXXXV.
Le due Pecorelle

Sazie del pingue pascolo
Di fresche erbe novelle,
A parlamento vennero
Due buone Pecorelle.

Sorella, i lupi assaltano:
Spiegami, io non comprendo
Perché ad offender m' abbiano
Color ch'io non offendo.

Sì disse la più giovane;
Cui l' altra: Oh! v' han ragioni?
Senza gli empj sarebbero
Troppo felici i buoni.

LXXXVI.
La Nuvola e il Sole

Sorse verso la sera
Nuvola nera nera.
Già del Sol l' aureo raggio
Pel mar facea viaggio.
La Nuvola, che stolta!
Disse del Giorno al re:
Che sì, che questa volta
Non ho timor di te!
Il corso or mi contrasta,
Se l' animo ti basta:
Ti offusco, ti confondo
In faccia a tutto il mondo.
E il Sol: Vinci a tuo grado
Allor che altrove io vado.

Quanti che il volgo abbagliano
Con fasto di parole,
Son nuvole che sfidano,
Quando tramonta, il Sole
.

LXXXVII.
La Rana e il Pesce

Dalla casa paludosa
Sulla strada un dì se n' esce
Una Rana coraggiosa,
E fa tanto che pur giunge
Presso al mar che non è lunge.
Là s'asside, e vede un Pesce
Che qual forbice d'argento
Fende il liquido elemento.
Ferma, ferma, ella gridò,
Teco in mar venire io vo':
Se mio amico esser prometti,
Buona insiem vita faremo;
Del nuotar tutti i precetti
Già conosco, e il mar non temo.
Ferma, aspetta, io vengo all' onde.
Resta, il Pesce le risponde:
Altri amici cercar puoi;
Un ostacolo è fra noi
D'amistade a stringer laccio,
Tu ognor gracchi, io sempre taccio.

Amistà non dèi sperare
Ove opposta indole appare
.

LXXXVIII.
Il Destriero e un Giumento

Ne' piè lieve e nel crin erto
Iva un giovane Destriero
D'oro e d'ostro ricoverto,
Con sul dorso il Cavaliero;
Fra la pompa onde splendea,
L'aureo fren che in bocca avea,
E che altero gía mordendo,
D'un valore era stupendo.

Vien là presso ove in un prato
Son Giumenti al pasco usato;
Apre il muso, e par che ostenti
L'aureo morso fra' suoi denti.
Levò il capo dal terreno,
E gli disse un di coloro:
Se, com' io, tu mangi fieno,
Che ti val fra' denti l'oro?

LXXXIX.
La Vite e il Potatore

Al potatore dicea la Vite:
Deh! mi risparmia le tue ferite;
Io ti prometto, se non m'affanni,
Che sarò bella più che gli altri anni:
Che far può un ramo di più, di meno?
Possenti succhi mi dà il terreno.

Al Potatore, che l'ebbe fede,
Essa gran frutto quell'anno diede;
Ma gli anni appresso cangiò di tempre,
E tronco inutile restò per sempre.

Gli error correggi di fresca etade:
Guida a rovine la tua pietade
.

XC.
L' Aquilotto e il Gufo

Un collerico Aquilotto
Giù nel sen d'un muro rotto
Scopre un Gufo, e tosto in questa
Manieraccia lo molesta:
Degli augelli o vitupéro.
Che costume hai così nero,
Quanto meglio saria stato
Che non fossi al mondo nato!
Vita indegna, allor che annotta,
Svolazzar di grotta in grotta!

L' altro allora: Al mio costume
Mal si sta codesta taccia;
Cerco l' ombre e fuggo il lume;
Ma sai tu quel ch'io mi faccia?
Ne' notturni miei vïaggi
Cento insetti all' aria infesti
A sorprender mi vedresti.
Tu frattanto che m' oltraggi,
Tu di vista a niun secondo,
Tu che fai di meglio al mondo?

Quanti inutili tu stimi,
Che in giovar son forse i primi!