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Die Fabeln ins Deutsche übertragen.


Favole II.
 

Favola XXVIII.
La pulce

Dormendo il cane sopra la pelle di un castrone, una delle sue pulci, sentendo l'odore della unta lana, giudicò quello doversi essere loco di migliore vita e piùsicura da' denti e unglia del cane che pascersi del cane, e sanza altro pensieri, abbandonò il cane, e, entrata intra la folta lana, cominciò con somma fatica a volere trapassare alle radici de' peli. La quale impresa, dopo molto sudore, trovò esser vana, perché tali peli erano erano tanto spessi che quasi si toccavano, e non v'era spazio dove la pulce potessi saggiare tal pelle; onde, dopo lungo travaglio e fatica, cominciò a volere ritornare al suo cane, il quale essendo già partito, fu costretta, dopo lungo pentimento, amari pianti, a morirsi di fame.

Favola XXIX.
Il rasoio vanitoso e borioso

Uscendo un giorno il rasoio di quel manico col quale si fa guaina a sé medesimo, e postosi al sole, vide lo sole ispecchiarsi nel suo corpo: della qual cosa prese somma groria, e rivolto col pensiero indirieto, cominciò con seco medesimo a dire:

»Or tornerò io piùa quella bottega, della quale novamente uscito sono? Certo no.
Non piaccia agli Dei, che sì splendida bellezza caggia in tanta viltà d'animo! Che pazzia sarebbe quella la qual mi conducessi a radere le insaponate barbe de' rustichi villani
e fare sì meccaniche operazione? Or è questo corpo da simili esercizi? Certo no. Io mi vogli[o] nascondere in qualche occulto loco, e lì con tranquillo riposo passare la mia vita.«

E così, nascosto per alquanti mesi, un giorno ritornato all'aria, e uscito fori della sua guaina, vide sé essere fatto a similitudine d'una rugginente sega, e la sua superficie non ispecchiare piùlo splendente sole, Con vano pentimento indarno pianse lo inreparabile danno, con seco dicendo:

»O quan[to] meglio era esercitare col barbiere il mi' perduto taglio di tanta sottilità. Dov'è la lustrante superfizie? Certo la fastidiosa e brutta ruggine l'ha consumata.«

Questo medesimo accade nelli ingegni, che 'n iscambio dello esercizio, si dànno all'ozio,
i quali, a similitudine del sopradetto rasoio, perde la tagliente sua suttilità e la ruggine dell' ignoranzia guasta la sua forma.

Favola XXX.
La pietra scontenta della sua vita solitaria

Una pietra novamente per l'acque scoperta, di bella grandezza, si stava sopra un certo loco rilevata, dove terminava un dilettevole boschetto sopra una sassosa strada, in compagnia d'erbette, di vari fiori di diversi colori ornata, e vedea la gran somma delle pietre che nella a sé sottoposta strada collocate erano. Le venne desiderio di la giùlasciarsi cadere, dicendo con seco: »Che fo qui con queste erbe? Io voglio con queste mie sorelle in compagnia abitare.« E giùlassatosi cadere infra le desiderate compagne, finì il suo volubile corso; e stata alquanto cominciò a essere da le rote de' carri, dai piè de' ferrati cavalli e de' viandanti, a essere in continuo travaglio; chi la volta, quale la pestava, alcuna volta si levava alcuno pezzo, quando stava coperta dal fango o sterco di qualche animale, e invano riguardava il loco donde partita s'era, innel loco della soletaria e tranquilla pace.

Così accade a quelli che nella vita soletaria e contemplativa vogliano venir a abitare nelle città, infra i popoli pieni d'infini[ti] mali.

Favola XXXI.
La farfalla e il lume ad olio

Andando il dipinto parpaglione vagabundo, e discorrendo per la oscurata aria, li venne visto un lume, al quale subito si dirizzò, e, con vari circuli quello attorniando, forte si maravigliò di tanta splendida bellezza, e non istando contento solamente al vederlo, si mise innanzi per fare di quello come delli odoriferi fiori fare solìa. E, dirizzato suo volo, con ardito animo passò per esso lume, l'elettrone quale gli consumò li stremi delle alie e gambe e altri ornamenti. E caduto a' piè di quello, con ammirazione considerava esso caso donde intervenuto fussi, non li potendo entrare nell'animo che da sì bella cosa male o danno alcuno intervenire potessi. E restaurato alquanto le mancate forze, riprese un altro volo, e, passato attraverso del corpo d'esso lume, cadde subito bruciato nell'olio che esso lume notrìa, e restogli solamente tanta vita, che potè considerare la cagion del suo danno, dicendo a quello:

»O maladetta luce, io mi credevo avere in te trovato la mia felicità; io piango indarno il mio matto desiderio, e con mio danno ho conosciuto la tua consumatrice e dannosa natura.« Alla quale il lume rispose: »Così fo io a chi ben non mi sa usare.« E immediate ito al fondo finì la sua vita.

Detta per quelli i quali, veduti dinanzi a sé questi lascivi e mondani piaceri, a similitudine del parpaglione, a quelli corrano, sanza considerare la natura di quelli; i quali, da essi omini, dopo lunga usanza, con loro vergogna e danno conosciuti sono.

Favola XXXII.
La pietra focaia e l'acciarino

La pietra, essendo battuta dall'acciarolo del foco, forte si maravigliò, e con rigida voce disse a quello: »Che presunzio ti move a darmi fatica? Non mi dare affanno, che tu m'hai colto in iscambio. Io non dispiacei mai a nessuno.« Al quale l'acciarolo rispose: »Se sarai paziente, vedrai che maraviglioso frutto uscirà di te.« Alle quale parole la pietra, datosi pace, con pazienza stette forte al martire, e vide di sé nascere il maraviglioso foco,
il quale, colla sua virtùoperava in infinite cose.

Detta per quelli i quali spaventano ne' prencipi delli studi, e poi che a loro medesimi si dispongano potere comandare, e dare con pazienza opera continua a essi studi, di quelli si vede resultare cose di maravigliose dimostrazioni.

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Favola XXXIII.
Il ragno

Il ragno credendo trovar requie nella buca della chiave, trova la morte.

Favola XXXIV.
Il giglio e la corrente del fiume

Il ligio si pose sopra la ripa di Tesino, e la corrente tirò la ripa insieme col lilio.

Favola XXXV.
L'ostrica, il topo e la gatta

Sendo l'ostriga insieme colli al[tri] pesci in casa del pescatore scaricata vicino al mare, priega il ratto che al mare la conduca. Il ratto, fatto disegno di mangiarla, la fa aprire e mordendola, questa li serra la testa e sì lo ferma. Viene la gatta e l'uccide.

Favola XXXVI.
Il contadino e la vite

Vedendo il villano la utilità che resultava dalla vite, le dette molti sostentaculi da sostenerla in alto, e, preso il frutto, levò le pertiche e quella lasciò cadere, facendo foco de' sua sostentaculi.

Favola XXXVII.
La triste morte di un granchio

El granchio stando sotto il sasso per pigliar e pesci che sotto a quello entravano, venne la piena con rovinoso precipitamento di sassi, e collo rotolarsi sfracelloron tal granchio.

Favola XXXVIII.
Il ragno e l'uva

Il ragno, stante infra all'uve, pigliava le mosche che in su tale uve si pasceva[n].
Venne la vendemmia, e fu pesto il ragno insieme coll'uve.

Favola XXXIX.
La vite e l'albero vecchio

La vite, invecchiata sopra l'albero vecchio, cadde insieme con la ruina d'esso albero, e fu per la trista compagnia a mancare insieme con quello.

Favola XL.
Il torrente

Il torrente portò tanto di terra e pietre nel suo letto, che fu po' constretto a mutar sito.

Favola XLI.
La rete e i pesci

La rete, che soleva pigliare li pesci, fu presa e portata via dal furor de' pesci.

Favola XLII.
La palla di neve

La palla della neve quanto piùrotolando discese delle montagne della neve, tanto piùmoltiplicò la sua magnitudine.

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Favola XLIII.
Il salice

Il salice, che per li sua lunghi germinamenti cresce da superare ciascuna altra pianta, per avere fatto compagnia colla vite, che ogni anno si pota, fu ancora lui sempre storpiato.

Favola XLIV.
La Penitenza dell'acqua

Trovandosi l'acqua nel superbo mare, suo elemento, le venne voglia di montare sopra l'aria, e confortata dal foco elemento, elevatosi in sottile vapore, quasi parea della sittiglieza dell'aria, e , montato in alto, giunse infra l'aria piùsottile e fredda, dove fu abbandonata dal foco. E piccoli granicoli, sendo restretti, già s'uniscano e fannosi pesanti, ove cadendo la super[bia ] si converte in fuga, e cade del cielo; onde poi fu beuta dalla secca terra, dove, lungo tempo incarcerata, fè penitenzia del suo peccato.

Favola XLV.
La fiamma e la candela

Il lume, o foco incordo sopra la candela, quella consumando se consuma.

Favola XLVI.
La vendetta del vino

Il vino consumato dallo imbriaco. Esso vino col bevitore si vendica.

Favola XLVII.
L'inchiostro e la carta

L'inchiostro displezzato per la sua nerezza dalla bianchezza della carta, la quale da quello si vide imbrattare. Vedendosi la carta tutta macchiata dalla oscura negrezza dell'inchiostro, di quello si dole; el quale mostra a essa che per le parole, ch'esso sopra lei compone, essere cagione della conservazione di quella.

Favola XLVIII.
Il fuoco e l'acqua

Il foco contende l'acqua posta nel laveggio, dicendo che l'acqua no merita star sopra il foco, re delli elemente, e così vo' per forza di bollore cacciare l'acqua del laveggio; onde quella per farli onore d'ubbidienzia discende in basso e anniega il foco.

Favola XLIX.
Il dipintore

Il dipintore disputa e gareggia colla natura.

Favola L.
Il coltello

Il coltello, accidentale armadura, caccia dall'omo le sua unghie, armadura naturale.

Favola LI.
Lo specchio e la regina

Lo specchio si groria forte tenendo dentro a sé specchiata la regina e, partita quella,
lo specchio riman vile.

Favola LII.
Il ferro e la lima

Il pesante ferro si reduce in tanta sottilità mediante la lima, che piccolo vento poi lo porta via.

Favola LIII.
La pianta, il palo e i pruni

La pianta si dole del palo secco e vecchio, che se l'era posto allato, e de' pruni secchi che lo circundano: l'un lo mantiene diritto, l'altro lo guarda dalle triste compagnie.

Favola LIV.
La penna e il temperino

Necessaria compagnia ha la penna col temperatoio e similmente utile compagnia, perché l'una sanza l'altro non vale troppo.


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